Abbiamo ancora sotto gli occhi gli avvenimenti di Capitol Hill, dove, il giorno della ratifica della vittoria di Joe Biden,
una folla di sostenitori di Trump ha invaso le sale del congresso americano nella quale erano riuniti in seduta congiunta i membri della camera e del senato statunitense. Da quel giorno, il 6 gennaio, tutta l’informazione mondiale ha riportato video, immagini e testimonianze di quelle ore di follia e violenza ingiustificata. Sui social le critiche e le opinioni si sono divise, anche se è unanime la volontà di condannare le violenze. E sono proprio i social a essere stati messi sotto la lente d’ingrandimento nei giorni successivi; infatti è risultato palese che l’organizzazione della protesta sia stata possibile grazie a loro.
A risultare pesantemente sotto attacco è stato il presidente uscente Donald Trump che avrebbe incitato la protesta e la successiva irruzione dai suoi profili social. Trump è sempre stato molto attivo sui social anche se spesso accusato di pubblicare notizie non veritiere, le fake news. Ultimamente molti suoi post sono stati cancellati da facebook o segnalati come notizie da verificare su twitter e, nei giorni successivi alla protesta, addirittura i suoi profili rimossi completamente dalle piattaforme. La messa al bando del 45° presidente Usa è stata una notizia controversa che ha trovato molti sostenitori, ma anche diverse critiche, soprattutto tra i chi sostiene che fosse lesa la libertà d’espressione.
Ma proviamo a fare un poco di chiarezza su quanto accaduto: quelli che sono stati messi sotto accusa sono i contenuti dei post condivisi o pubblicati da Trump, giudicati falsi o fuorvianti nei contenuti. Ora, la libertà di espressione è sacrosanta, ma dobbiamo ricordarci che il seguito e l’influenza che ha un personaggio come il presidente degli Stati Uniti è enorme, perciò una parte dell’opinione pubblica, potrebbe pensare che qualunque contenuto sia vero, anche se palesemente falso. E questo è uno degli effetti perversi dei social; gli opinion leader o le persone più seguite possono far diffondere le fake news molto velocemente all’interno di un sistema a rete come quello dei social.
Ma cosa è accaduto dopo la sospensione dei profili di Trump sui social? Il Corriere della Sera ha riportato un’interessante ricerca dello Zignal Lab, che, da una prima statistica, ha osservato un calo del 73% della disinformazione riguardante le frodi elettorali, mai confermate o sostenute da prove tangibili, che avrebbero permesso a Biden di vincere le elezioni. Questo calo è da imputare, secondo ai ricercatori, al crollo della piramide propagandistica che aveva alla vetta lo stesso Trump e alla scomparsa dei profili detti superdiffusori (tra cui quello del Presidente) che riuscivano a diffondere la stragrande parte della disinformazione sul tema elettorale americano.
20 profili, compreso quello di Trump, sono stati i responsabili di un quinto della disinformazione riguardante le elezioni americane.
Per quanto la sospensione dei profili di Trump appare giustificata dalla politica dei social, che ricordiamo sono società private, questi provvedimenti hanno aperto un dibattito molto acceso sulla libertà di espressione. Una parte dell’opinione pubblica sostiene che l’eliminazione dei profili che diffondono spesso fake news, che incitano all’odio o alla violenza, sia una scelta condivisibile che, però, si scontra contro quella libertà di parola che per molti vuol dire poter parlare senza censure. La questione è molto delicata anche perchè, se facciamo l’esempio italiano, i social non sono regolamentati da nessuna norma se non quelle del buonsenso, che molte volte non c’è. Tra i sostenitori che pensano che la scelta di silenziare Trump da parte di twitter e facebook sia un bavaglio ci sono molti politici. Questi non hanno mancato di dire che i social sono sì privati, ma svolgono una funzione di servizio pubblico. Questo può essere vero ma, se fosse così, si dovrebbero equiparare agli altri mezzi di comunicazione di massa e, dovrebbero, perciò, rispettare le regole già esistenti per gli altri, come ad esempio la par condicio o il silenzio elettorale (agendadigitale.eu).
La questione è ancora controversa e delicata. Di sicuro la nostra società deve imparare a usare meglio le nuove tecnologie, anche per poterle sfruttare per gli scopi lavorativi. Una parte consistente del recovery found sarà utilizzata per la digitalizzazione del paese e per lo sviluppo di nuove tecnologie. In questo panorama sicuramente inizieranno ad aumentare i lavori legati al web, facendo partire la rivoluzione del web 4.0, dove i contenuti dovranno essere seri, precisi, puntuali e non improvvisati. In questa nuova ottica le notizie fuorvianti o false dovranno essere eliminate sul nascere, in modo da contenere l’effetto perverso della loro diffusione a cascata. Noi auspichiamo un web democratico e libero da vincoli, ma, al contempo, vogliamo sia un luogo di leale confronto, di crescita e di corretta informazione.