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NFT, è tutto oro ciò che luccica?

Se nel 2020 la parola dell’anno è stata lockdown, il 2021 celebra la parola NFT, almeno secondo il dizionario Collins. Come già detto in un nostro articolo precedente, gli NFT sono un sistema di autentica attraverso il quale contenuti digitali originali o rari possono essere scambiati su un mercato digitale, utilizzando una valuta digitale. 

 

Un NFT è un sistema che si accompagna a un altro sistema di autentica, legato piuttosto alle transazioni, che è quello della blockchain che consente al legittimo possessore di detenere e scambiare sul mercato dei beni autenticati monitorando la correttezza di ogni transazione, qualunque sia il bene scambiato, come file audio, foto, tweet, post, opere d’arte, o qualsiasi altra tipologia di contenuto esistente o ancora da inventare.

 

Collins definisce un NFT come un certificato digitale unico, registrato in una blockchain, che viene utilizzato per registrare la proprietà di un bene come un’opera d’arte o un oggetto da collezione. In altre parole, è una serie di dati che registra a chi appartiene un’opera digitale. Unico è la parte più importante della definizione: è da qui che viene la non fungibilità (quindi la non ripetibilità) del certificato che non è sostituibile con nient’altro. Quello che ha davvero catturato l’immaginazione del pubblico riguardo gli NFT è l’uso che è stato fatto di questa tecnologia: vendere arte. E non solo.

 

Ed è questa unicità che rende appetibile questo mercato, anche se ancora acerbo e denso di problematiche da risolvere. Dalla vendita dell’opera di Beeple o del primo tweet sembrava che le porte a questo nuovo sistema di commercio fossero definitivamente aperte, ma la realtà non sembra così rosea. Infatti ci sono tante domande alle quali ancora non sappiamo e non possiamo rispondere.

 

Le possibilità tecniche grazie alla blockchain possono aprire orizzonti innovativi e finora inesplorati, ma parallelamente mancano di un’attenta regolamentazione giuridica. Le attuali lacune potrebbero diventare una minaccia allo stesso mercato degli NFT, che, fra l’altro, si porta dietro anche tutte le criticità legate alle criptovalute. Diventa perciò indispensabile avere un comparto di regole chiare e universali sul piano giuridico, ma non solo.

 

Oltre agli aspetti meramente giurisdizionali, un altro problema che dobbiamo risolvere è quello di preservare il valore dell’originalità dell’opera. Infatti un Nft non è l’opera, bensì il certificato di proprietà. Se quindi, dal lato tecnico, è facile rappresentare digitalmente il possesso di un’opera tramite Nft, e poi vendere il possesso di quest’opera registrata, è più complicata la situazione che potrebbe crearsi qualora avvenga, per esempio, una doppia registrazione della stessa opera su piattaforme diverse o la certificazione di un’opera con una modifica minima (anche un pixel) rispetto all’originale non fatta da parte dell’autore. La blockchain può solo stabilire la proprietà e non andare ad analizzare il contenuto, che online può teoricamente propagarsi all’infinito. Naturalmente in questo caso dovremmo affidarci all’onestà dell’autore, ma si sa, il mondo del web è fatto anche di opportunismo.

 

L’avvocato Marco Tullio Giordano, partner di 42LawFirm, su questo proposito ci dice: “Gli aspetti legali devono essere definiti off-chain. La prima parte del lavoro è creare l’opera e distribuirla, in secondo luogo si crea il certificato di proprietà con gli Nft, il terzo tassello è dettagliare i rapporti giuridici sottesi a questi”. Anche perché, oltre la proprietà intellettuale e il copyright, le situazioni che presentano criticità legali non sono poche. “A partire dalla tutela dei consumatori, che non sanno se le piattaforme riconoscono il diritto di recesso e la privacy, fino alle problematiche di antiriciclaggio, ma anche di contraffazione, per non parlare della regolamentazione finanziaria, e della questione fiscale”. 

 

Non sappiamo ancora bene come si evolverà questo particolare mercato, ma sappiamo che non riguarderà solo il mondo dell’arte; infatti il vero mercato degli Nft del domani potrebbe essere la tokenizzazione di asset reali e non digitali, basti pensare al mercato immobiliare, dove ci sono già esempi di vendite come una sorta di multiproprietà, o al fermento nel campo della moda e della musica. Per questo motivo una normativa seria e universale diventa indispensabile sia per lo sviluppo sulle giuste direttrici di questo nuovo mercato, sia per tutelare il consumatore.

Guerrilla Marketing

Erano gli anni Ottanta e le televisioni commerciali di tutti i Paesi hanno inventato la pubblicità moderna. Questa prevedeva, al costo tutt’altro che modico, grandi campagne che si articolavano almeno in tre voci principali: carta stampata, radio e televisione appunto. Per i piccoli business era diventato quasi impossibile emergere in un panorama così affollato e monopolizzato da chi aveva a disposizione budget elevati.

La soluzione fu formulata nel 1984 nell’omonimo libro di Jay Conrad Levinson, Guerrilla Marketing. Con un passato di direttore creativo alla Leo Burnett, l’esperto pensò questa tecnica con un obiettivo preciso: usare tattiche non convenzionali rispetto a quelle più praticate all’epoca per fare marketing anche con piccoli budget a disposizione.

Secondo l’autore la campagna pubblicitaria deve essere scioccante, unica, memorabile e, il suo creare buzz era solo un obiettivo secondario, in qualche misura quasi una conseguenza fisiologica del nuovo approccio al marketing.

L’ispirazione per il termine Guerrilla Marketing veniva dalla tattica di guerra detta appunto guerriglia condotta da piccole formazioni di uomini e caratterizzata da assalti a sorpresa o imboscate. Infatti, questo tipo di marketing, usa elementi tipici delle tattiche di guerriglia, come gli assalti, i sabotaggi, la sorpresa, i raids, ecc.

“Il primo esempio di Guerrilla Marketing contemporaneo fu la promozione di “The Blair Witch Project”, un found footage horror ispirato a una leggenda metropolitana che circolava a proposito di alcune misteriose sparizioni a Blair, nel Maryland. Era il 1999 e i registi del film costruirono in USA una campagna davvero originale per il tempo con tanto di sito web che riportava rapporti di polizia, interviste di testimoni e manifesti con le foto degli attori che offrivano ricompense a chi li ritrovasse. L’horror raccontava, infatti, la storia di tre studenti improvvisamente scomparsi nel nulla mentre stavano facendo una ricerca sulla strega di Blair, ritenuta responsabile di alcune morti misteriose. L’operazione generò preoccupazione tra gli spettatori statunitensi, tanto che qualcuno anche dopo aver visto il film al cinema restò convinto che si trattasse di un documentario reale montato con riprese originali degli studenti misteriosamente ritrovate. Nonostante le polemiche da cui furono investiti gli ideatori quando si scoprì che era tutto frutto dell’immaginazione, la campagna fu un vero successo a livello di marketing: al botteghino il film, diretto da esordienti, raccolse in poche settimane quasi 250 milioni di dollari”.

Lo scopo principale del guerrilla marketing, come tutta la pubblicità in generale, è quello di mettere in contatto i produttori di beni e servizi e quanti più consumatori possibili, usando metodi innovativi, non convenzionali e virali. Infatti questo stile di promozione dovrebbe:

  • emergere dalla massa della pubblicità convenzionale ricorrendo ad una creatività più particolare;
  • generare un effetto sorpresa tramite una presentazione insolita;
  • rimanere impresso a lungo nella memoria per via della sua originalità e unicità;
  • generare molto “buzz” sotto forma di discussioni e passaparola;
  • diffondersi in maniera virale e diventare un moltiplicatore tramite Internet;
  • fissare l’immagine della propria azienda e del proprio brand tramite un’associazione positiva;
  • aumentare il fatturato tramite un raggio d’azione maggiore e l’effetto PR.

L’effetto sorpresa, e il cumulo di emozioni positive a esso legate, hanno un peso molto importante non solo nell’aumentare il livello di attenzione e di coinvolgimento ma anche nel facilitare la risposta alla call-to-action, obiettivo di fondo di qualsiasi campagna di marketing e/o di comunicazione. In più risulterebbe aumentata anche la memorabilità dell’evento, cioè l’incontro tra il brand e il consumatore.

Vero, il guerrilla marketing ha bisogno di luoghi per esistere. Molte installazioni sono fisiche, tattili, sonore, visive. Ora, la domanda è: questa tattica si può usare anche nel web e nei social? 

La risposta è sì, anche se dobbiamo tenere a mente che una buona strategia pubblicitaria deve essere coerente, a passo con i tempi, deve trasmettere comunque un messaggio positivo e non deve essere offensiva per nessuno. Infatti, nel corso degli anni, abbiamo assistito a campagna di guerrilla marketing che hanno dato dei risultati eccezionali e altre che sono state fallimentari e hanno creato non poco imbarazzo al brand pubblicizzato.

Visto che l’effetto di diffusione virale non può essere controllato, le idee e le misure intraprese devono venir pianificate particolarmente bene e applicate nel miglior modo possibile. I costi e l’impegno richiesti devono inoltre venire ricompensati all’interno di iniziative promosse nel breve o nel lungo periodo. Se con il guerilla marketing si ottiene invece l’effetto contrario, perché i clienti si arrabbiano o vengono disorientati o si rivolgono persino alla polizia, si rischia di danneggiare il brand e l’immagine dell’azienda, oltre che incorrere in multe e correzioni di campagne costose.

Per questi motivi, soprattutto per le campagne sul web e sui social, dove difficilmente scompare qualcosa, è indispensabile rivolgersi a un’agenzia seria e preparata come yes-web, avere il tempo necessario ad articolare e far partire la campagna pubblicitaria e conoscere e gestire esattamente il budget a disposizione. 

Le strategie di vendita online: l’email marketing

Anche se negli anni le strategie di vendita online si sono moltiplicate, e sono diventate sempre più raffinate e complesse, l’email marketing continua a essere uno degli strumenti più potenti per proporsi sul web, vendere i propri prodotti e generare profitti. Anche se può sembrare un metodo antiquato, ormai sostituito dalle campagne pubblicitarie sui social, l’email marketing continua a ricoprire un ruolo di prim’ordine nella promozione di prodotti e servizi online. 

 

L’email marketing è un messaggio di posta elettronica inviato periodicamente, anche attraverso l’uso di piattaforme dedicate a questo servizio, che informa i contatti registrati sulle novità della nostra azienda o di una promozione che vogliamo proporre. Per essere efficace, questo sistema, non deve limitarsi alle offerte di tipo commerciale o alle informazioni di servizio, ma deve essere appositamente studiato per venire incontro alle esigenze dei destinatari. 

 

Una campagna marketing di questo tipo, per risultare maggiormente efficace, comporta un lavoro redazionale di preparazione dei contenuti, delle notizie da inserire e degli argomenti da trattare. Il prodotto finale deve risultare quanto più accattivante, anche dal punto di vista grafico, in modo da invogliare i destinatari a scaricare il messaggio che vogliamo veicolare. 

 

I motivi che fanno risultare desiderabile una campagna di email marketing, rispetto a campagne di altro tipo, sono diversi e variano molto caso per caso, ma qualunque realtà imprenditoriale, dalle più piccole alle più strutturate, traggono enormi benefici da questo metodo di comunicazione. Essenzialmente il marketing tramite mail permette di:

 

  • rafforzare il brand: il rimanere in contatto con i propri clienti, o potenziali clienti, attraverso la comunicazione di argomenti di interesse, contribuisce a promuovere e migliorare l’immagine aziendale.
  • aumentare le vendite: le newsletter sono uno strumento prezioso per promuovere i servizi e prodotti, direttamente col proprio target di clientela.
  • incrementare le visite al sito: è dimostrato che l’email marketing è un ottimo strumento per aumentare il traffico verso il proprio sito web. Infatti, inserendo un link diretto, si può veicolare il traffico verso la propria pagina web e, conseguentemente, aumentare i possibili clienti, oltre a acquisire una maggiore visibilità online nei motori di ricerca.
  • attirare nuovi clienti e fidelizzare quelli già acquisiti: aumentare la fiducia nel brand è fondamentale per qualunque attività di beni o servizi. L’invio periodico di comunicazioni permette di stabilire un legame sempre più forte con la propria clientela, ovviamente, offrendo un servizio di qualità.

 

Sin qua sembra che questo metodo sia il migliore per ingaggiare nuovi clienti e consolidare la nostra presenza online. Ma no, purtroppo non è così semplice. Infatti, basta aprire la nostra casella mail per renderci conto che siamo invasi da spazzatura digitale ogni giorno e le nostre mail rischiano di mischiarsi allo spam. Per questo motivo è necessario creare una strategia di marketing mail efficace e che si distingua dal resto delle mail pubblicitarie che riceviamo. 

Un metodo semplice per definire ciò che vogliamo ottenere dalla nostra campagna di email marketing è il metodo SMART.

 

Descritto nel libro The Practice of Management da Peter Drucker, SMART non è altro che un acronimo che indica come devono essere strutturati gli obiettivi di una strategia. Il metodo SMART si trova oggi in più versioni formulate da esperti diversi, ma il suo nucleo fondamentale è rimasto pressoché invariato e valido.

Per essere ben definito un obiettivo deve essere:

 

  • S specific (specifico): l’obiettivo che si vuole perseguire deve essere ponderato e specifico. In questo modo potremmo aver sempre presente quale sono le tappe per realizzarlo.
  • M measurable (misurabile): in qualunque momento dobbiamo essere in grado di controllare i progressi della nostra campagna, in modo da intervenire per ogni evenienza.
  • A achievable (realizzabile): deve essere un mantra: le campagne che proponiamo devono essere realizzabili. Promuovere un servizio irrealizzabile o un prodotto non disponibile, porterà al fallimento della campagna, oltre alla bad reputation.
  • R relevant (rilevante): dobbiamo scegliere obiettivi di valore compatibili col nostro business.
  • T time-bound (vincolato da scadenza): le campagne non devono essere eterne. È necessario impostare un intervallo di tempo entro il quale raggiungere l’obiettivo, impostando un limite. Questo intervallo può essere segmentato in obiettivi secondari a scadenze più brevi, in modo da poter analizzare le statistiche e confrontare i risultati nei vari step della strategia.

 

Dopo aver individuato gli obiettivi, è il momento di creare la nostra campagna. Per questo non dobbiamo improvvisare, ricordiamoci sempre che dobbiamo spiccare tra i tanti, e non confonderci con gli altri. Ci sono tanti strumenti da poter utilizzare, tante piattaforme e tanti software che aiuteranno a realizzare la campagna e la diffusione delle mail. Ma, come già detto, non dobbiamo improvvisare. È sempre bene rivolgersi a dei professionisti del web e, insieme a loro, individuare gli obiettivi, pianificare la campagna, creare il messaggio da trasmettere e, solo in seguito veicolarlo. Yes-web, grazie alla sua esperienza riuscirà a consigliarvi e creare insieme a voi la strategia di marketing mail migliore per la promozione del vostro brand. 

Sempre più digitali: gli scenari post pandemia

 “La pandemia ha accelerato sensibilmente i processi di digitalizzazione nel Paese portando a sperimentare i benefici e le sfide della connettività, oggi più che mai anche nel contesto domestico. Attività e servizi digitali come smart working e videocall, che molti di noi hanno sperimentato per la prima volta durante il lockdown, continueranno a essere richiesti e utilizzati in futuro, anche se probabilmente in misura minore. È tuttavia importante soffermarsi su un altro aspetto che ha portato con sé questa digitalizzazione: la crescita dei servizi online ha amplificato certe paure e preoccupazioni, soprattutto quelle legate a possibili violazioni della privacy e all’impatto delle tecnologie sul proprio benessere psicofisico (il 50% degli italiani è più preoccupato di prima per le conseguenze dell’utilizzo di internet). Dunque, a fronte di una domanda elevata sia in termini di qualità sia di varietà del panel di prodotti e servizi, anche l’offerta dovrà adeguarsi con standard altrettanto elevati e soluzioni sempre più personalizzate”.

( Irene Pipola, Partner EY, Responsabile consulting per il settore TMT)

 

Ormai sono mesi che lo ripetiamo: la pandemia di covid ha fatto mutare radicalmente molte abitudini e ne ha creato di nuove, soprattutto nel mondo dei servizi e del commercio. Sono aumentati il bisogno di connettività e l’adozione di servizi digitali, ma, al contempo, crescono anche le paure legate a un uso eccessivo delle tecnologia. 

Che la pandemia abbia avuto questi effetti non è una sorpresa, era abbastanza intuitivo, ma solo recentemente abbiamo potuto studiare questi dati.

 

Come viene quantificato dal rapporto Digital Home Study di EY, ormai, per più della metà degli italiani, avere una connessione efficiente e sicura è indispensabile. Per quanto l’esigenza sia nata durante i mesi di lockdown, tra dad e smart working, sembra che il bisogno di connettività sia destinato a restare oltre l’emergenza, anche perchè la pandemia ha portato a sperimentare e scoprire nuovi servizi digitali. Le nuove soluzioni web sono state adottate praticamente su scala globale, ma in Italia questo fenomeno sembra accentuato: secondo il report di EY, un italiano su tre ha utilizzato per la prima volta una videochiamata per lavoro, contro il 20% dei francesi e il 18% dei tedeschi. La didattica online è stata una novità per il 30% degli italiani (percentuale ben più robusta rispetto al 12% della Francia e all’11% della Germania). Il 23% ha fatto ricorso per la prima volta ai servizi sanitari digitali (dieci punti percentuali in più rispetto a Parigi e Berlino). 

I dati possono essere interpretati in due direzioni: il distacco dagli altri Paesi certifica da una parte quanto gli italiani si siano avvicinati ai servizi online, e dall’altra lasciano ipotizzare una condizione di partenza più arretrata.

 

Come già accennato, la digitalizzazione, al netto dei suoi benefici, non è un processo indolore, infatti si sono amplificate ansie e timori legati all’utilizzo della tecnologia. La questione della privacy rappresenta la fonte di angoscia primaria tra gli utenti: rispetto al pre-pandemia, il 37% degli italiani afferma di essere più preoccupato sulla riservatezza dei propri dati. Il 66% sostiene di essere estremamente prudente nel condividere informazioni personali online. Il dato è superiore rispetto a quello della Germania (61%) ma inferiore rispetto a Francia (73%), Stati Uniti (72%) e Gran Bretagna (71%). Anche in questo caso, le percentuali vanno soppesate: la prudenza deriva da una percezione, che non sempre corrisponde a una condotta realmente virtuosa, specie se in assenza di alfabetizzazione digitale. Allo stesso modo, una maggiore preoccupazione sulla gestione dei propri dati non è, di per sé, una cattiva notizia: potrebbe essere generata da una maggiore consapevolezza. 

 

Sono sempre più gli utenti che si dicono preoccupati per il loro benessere digitale. Infatti, più della metà di questi cerca di ritagliarsi spazi e tempo lontano dalle tecnologie web, anche perchè in questa particolare fase storica c’è stato un aumento esponenziale di tutti i servizi, compresi quelli di streaming e intrattenimento in generale. Anche in ambito lavorativo c’è stato un aumento delle comunicazioni con i fornitori attraverso nuovi canali digitali e, sempre in questo ambito, abbiamo assistito a una piccola rivoluzione, con la nascita del negozio ibrido e la consapevolezza sempre maggiore dei lavori che si possono svolgere attraverso il web, come l’e-commerce. 

 

In questa ottica cambia anche il modo di noi professionisti di creare contenuti web. Il nostro lavoro muterà sia in base alle nuove esigenze dei nostri clienti, che decidono di investire sul web,  sia in base alle esigenze del consumatore finale, che sì, passa più tempo connesso, ma vorrà consultare contenuti leggeri e intuitivi. Il fattore tempo sarà determinante nel creare dei contenuti efficaci e desiderabili.

 

Unire l’esigenza di tempo del consumatore finale e le performance del contenuto sarà la nuova sfida che agenzie come yes-web dovranno affrontare. 

Creiamo emozioni: il neuromarketing nel web

Oggi vorremmo fare un piccolo esercizio con voi. 

 

Andiamo su google, cerchiamo un argomento e iniziamo a navigare. Dopo qualche minuto, e sito visitato, chiudiamo le pagine e poniamoci questa domanda: quale sito ci ricordiamo maggiormente?

Sicuramente una pagina, o un dettaglio di questa, ci è rimasto maggiormente impresso.

 

Questo avviene perché il nostro cervello tende a immagazzinare delle informazioni in maniera automatica, quando viene risvegliata la sua parte più primordiale. La disciplina che studia come sfruttare positivamente questi processi si chiama neuromarketing.

 

Il neuromarketing è una branca di riferimento della cosiddetta neuroeconomia e indica una recente disciplina volta all’individuazione di canali di comunicazione più diretti ai processi decisionali d’acquisto, mediante l’utilizzo di metodologie legate alle scoperte delle neuroscienze. È una disciplina che fonde il marketing tradizionale (economia) con neurologia (medicina) e psicologia (scienze comportamentali) e si prefigge di illustrare ciò che accade nel cervello delle persone in risposta ad alcuni stimoli relativi a prodotti, marche o pubblicità, con l’obiettivo di determinare le strategie che spingono all’acquisto. 

 

Il futuro del commercio e dei servizi non sarà più solo di prossimità, ma sarà ibrido. Le vetrine non saranno più solo quelle fuori del nostro negozio ma saranno anche virtuali. Il cambiamento è iniziato e dobbiamo essere in grado di accoglierlo e non farci travolgere. 

Centrale in questa fase diventa la creazione di contenuti da condividere sul web, di una vetrina digitale dove presentarci, proporre i nostri prodotti e promuovere la bontà della nostra attività. Per creare questa vetrina le possibilità sono molteplici, dall’utilizzo dei social alla creazione di un sito. Dobbiamo stare attenti però; infatti per le vetrine virtuali valgono le stesse regole delle vetrine dei nostri negozi, devono essere curate, attirare l’attenzione, essere innovative e devono riuscire a trasmettere il messaggio che vogliamo veicolare. 

 

Per riuscire a creare un contenuto web che attiri l’attenzione, usiamo diverse tecniche di neuromarketing. Queste, oltre a catturare l’attenzione di chi guarderà il nostro sito, renderanno più gradevole e fluida l’esperienza web. In fin dei conti il nostro scopo è proporci e farci conoscere nel migliore dei modi, e se riusciamo a migliorare l’esperienza di navigazione, sicuramente un potenziale cliente si ricorderà di noi. 

 

Ma come facciamo a creare contenuti che attirano l’attenzione? In risposta a questa domanda ci viene in soccorso ancora il neuromarketing, che ci indica quali sono le tecniche per creare contenuti web che possano attirare l’attenzione dei nostri clienti e convincerli a usufruire dei nostri servizi o venire nel nostro negozio. 

 

Percorso a F

Nel fruire dei contenuti online tendiamo a seguire, per quelli più testuali, un percorso a forma di F. Perciò siamo più propensi a leggere contenuti contenenti elenchi puntati o numerati, titoli e sottotitoli, testi evidenziati o paragrafi non troppo lunghi. Il contenuto non deve essere troppo uniforme, il testo deve essere ben giustificato in modo da ottenere dei contenuti ben suddivisi. Se vogliamo mostrare dei contenuti fuori dal percorso automatico, sarà necessario aumentare la dimensione del testo, sfruttare l’incapsulazione o tecniche di orientamento e direzione. 

 

Percorso a Z

Quando fruiamo di contenuti online prettamente visivi, il percorso inconscio che seguiamo non è più a F ma a Z. In questo caso è necessario collocare il massaggio che vogliamo veicolare nell’area centrale della pagina, e fare attenzione nelle informazioni che inseriamo in basso a destra, in quanto è l’ultimo segmento della pagina ad essere visualizzato e meno in grado di creare attenzione emotiva. Al contempo prestiamo attenzione alla parte in alto a sinistra, di solito quella del logo, in quanto è il segmento che genererà la prima risposta emotiva del cervello.

 

Egoismo implicito

Le persone, in generale, hanno un atteggiamento positivo verso se stesse e favoriscono quello che è loro correlato. Questo vuol dire che implicitamente siamo tutti un poco opportunisti e tendiamo a essere maggiormente interessati a qualunque cosa riteniamo possa migliorarci. Come nelle interazioni dal vivo, anche quelle virtuali devono essere costruite il più possibile su misura del nostro cliente, curando i momenti di interazione per quanto possibile, attraverso anche un contatto diretto e dedicando il giusto tempo. Il contenuto, che elencherà i benefici del servizio, deve essere in grado di stimolare il cervello primitivo, in modo diretto, anche attraverso l’uso di immagini.

 

Dobbiamo prestare molta attenzione quando usiamo queste tecniche, perchè non bisogna commettere l’errore di essere scorretti col nostro cliente finale. Il neuromarketing, se usato bene, può essere utile per veicolare i messaggi che vogliamo trasmettere al cliente in maniera emozionale. Quando decidiamo di adottare queste tecniche nella creazione di contenuti online, per evitare l’effetto boomerang, non possiamo improvvisare, ed è sempre meglio rivolgersi a delle agenzie, come yes-web, che con la sua professionalità e preparazione, riuscirà a creare la giusta soluzione per voi, e veicolare il messaggio in maniera corretta, evitando errori che possono essere deleteri.