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Web e linguaggio politico

Lo vediamo ogni giorno, ogni volta che accediamo ai nostri social, siamo invasi da post di politici. 

Questo fenomeno, cioè usare i social come amplificatore della propaganda politica o elettorale, col fine di raggiungere più capillarmente, velocemente e costantemente gli elettori, esiste da poco più di un decennio, più o meno da quando Obama ha usato i social per una buona fetta della sua campagna elettorale verso la Casa Bianca. 

In questi anni, e ancora oggi, abbiamo assistito a vere e proprie campagne elettorali a suon di post e cinguettii, aiutate anche da un buco di regolamentazione sulla par condicio e il silenzio elettorale, il tutto condito da commenti pro e contro l’autore del post, spesso anche al vetriolo. 

 

Lo sappiamo, il web è democratico e chiunque ha il diritto di esprimere il proprio pensiero, anche se sappiamo tutti che non è etico dare in pasto all’opinione pubblica qualunque tema politico col solo fine di raccattare preferenze.  

 

Le vecchie campagne elettorali fatte di interventi nelle varie tribune politiche in radio o televisione, di grandi comizi nelle piazze e di quei manifesti elettorali che invadono i nostri comuni a ogni tornata elettorale, sembrano ormai superati dalle nuove tecniche di comunicazione politica, sempre più incentrata sui social e sul web. Ma è proprio così? 

 

All’apparenza, vedendo anche l’enorme mole di post pubblicati ogni giorno, sembrerebbe che tutta la politica si sia spostata sui social, che siano i canali preferiti per comunicare e promuoversi, ma, se andiamo un poco più a fondo e guardiamo oltre le apparenze, notiamo che non sono questi messaggi a convincere l’elettore a dare un voto di preferenza a un candidato rispetto ad un altro. Infatti, il web, per molti viene vissuto ancora come un mondo lontano dalla vita reale e, per quanto commentino e partecipino con i commenti al post del politico di turno, quando vanno a votare guardano altri aspetti più concreti e meno di propaganda. Inoltre l’elettore medio è cambiato negli ultimi 30 anni, è diventato più instabile, deluso dai partiti e dai loro leader, perciò più propenso anche a dare un voto di pancia.

 

L’analisi è complessa e riguarda più livelli della società e della comunicazione. Noi ci vogliamo concentrare su una parte importante dei social, il linguaggio. Infatti il linguaggio commerciale e diretto dei media commerciali ha invaso i social e, anziché migliorare, si è imbruttito e appesantito. Nei social non si ragiona molto, i post politici sono piccole vignette che devono colpire alla pancia, veloci e immediate, e portano spesso a un surriscaldarsi dei toni e anche a veri e propri scontri volgari.

 

A tal proposito riportiamo un estratto di un’intervista al professor Alfio Mastropaolo:

“E la competizione politica ha adottato toni insopportabili e rischiosissimi. Perché la polarizzazione dei discorsi politici si riflette sulla società, nel costume, nelle relazioni sociali. Ora, la straordinaria invenzione della politica moderna è stata la pacificazione della contesa politica: invece di fare a botte, si discuteva nei parlamenti. La discussione poteva essere aspra. Ma esisteva un codice della “civiltà parlamentare”. In Italia questo codice è stato messo sotto i piedi, quando sono apparsi i cappi e le mortadelle. È una responsabilità gravissima anche degli allora presidenti delle assemblee elettive, che hanno allora tollerato le prime intemperanze, e dei loro successori. I regolamenti parlamentari davano loro i mezzi per mettere a tacere i facinorosi e per escluderli. Purtroppo, simili intemperanze hanno fatto scuola e sono tracimate sui social, nelle trasmissioni televisive, nel costume, nella vita civile. Sarebbe ora di ristabilire dei limiti da rispettare. Non vedo perché nella vita civile la calunnia, il vilipendio, la diffamazione siano perseguibili e nelle pubbliche discussioni, in televisione e sui social sono ammessi. La mia opinione è che serva anche stavolta un codice, adottato su scala sovranazionale, insieme a qualche istituzione giudicante. È difficile immaginarlo, ma a volte servono le cose difficili, non quelle facili. Non tanto in ragione delle manipolazioni elettorali. Ma in ragione della civile convivenza, che è ad alto rischio di brutalizzazione. Come troverei ragionevole riformare la galassia delle piattaforme. Un processo in atto da tempo è la concentrazione mediatica nelle mani di pochi imprenditori privati. Vale per i giornali e per le catene radiotelevisive. Per i giornali si vanno delineando specie all’estero interessanti iniziative di giornalismo on line, che sono alimentate dagli stessi lettori. Per le catene radiotelevisive sarebbe auspicabile una dispersione della proprietà e il rafforzamento delle catene pubbliche, liberandole dalla concorrenza pubblicitaria. Bene, qualcosa va fatto e in fretta anche per le piattaforme dei social. Non  so cosa, ma prima è, meglio è.”        

 

Ed è qui il problema di fondo: i toni usati, la mancanza di regolamentazione, e autoregolamentazione, stanno affossando la politica e contribuiscono a far emergere nuove forze che in un contesto classico non avrebbero mai trovato lo spazio per esistere, come ad esempio le frange più estremiste e anarchiche. E sono questi i fenomeni da contrastare sul web.


Il linguaggio politico ha sempre contaminato il linguaggio comune; però, in questo caso, non possiamo usare un linguaggio politicamente scorretto e troppo diretto nelle attività di tutti i giorni, rischieremo di darci in pasto ai peggiori commenti e perdere la nostra web reputation, soprattutto se gestiamo un attività. 

 

Per questo, anche noi di yes-web, ogni volta che andiamo a creare un post sui vari social o qualunque contenuto web, prestiamo la massima attenzione a non cadere in errore, a non trattare temi delicati e cerchiamo in tutti i modi di accrescere la web reputation dei nostri clienti.